Perché l’atto chirurgico si affida completamente alla valutazione preoperatoria della cartografia (o mappaggio) e allo stesso tempo la conferma; tra questi due momenti corre sempre una reciproca dimostrazione e verifica ed è quindi auspicabile per l’ottimizzazione del risultato che entrambi vengano eseguiti dallo stesso operatore.
La cartografia è la rappresentazione grafica delle turbe emodinamiche in un prospetto dettagliato; prevede un processo mentale interpretativo e predittivo dei punti cruciali da aggredire, i quali vengono corrispondentemente “marcati” con segni sulla cute, là dove si dovrà reperire con piccole incisioni il vaso sottostante.
Più che di un metodo quindi si preferisce parlare di strategia, nel senso di una precisa correlazione tra i dati raccolti all’esame ecocolordoppler (con prove funzionali associate) e l’esecuzione del gesto chirurgico, avendo in mente la finalità di una correzione “intelligente”, nel senso di razionale, logica, conforme a quanto di patologico è già stato compreso nella valutazione emodinamica della mappa; quindi un progetto motivato su chiarimenti preliminari. La cartografia è quindi l’esame imprescindibile dell’intero percorso diagnostico e terapeutico. Ogni caso deve essere risolto nell’economia più appropriata, più adeguata e conveniente, personalizzando decisamente i vincoli dei principi generali.
Il gesto fondamentale comunque è quello di controllare il reflusso e questo è possibile con un intervento eseguibile in un ambulatorio chirurgico autorizzato. Vengono praticate piccole incisioni in anestesia locale, interrompendo con semplici legature le comunicazioni viziose tra i due sistemi venosi, superficiale e profondo. Si determina così un nuovo andamento di flusso circolatorio su cui non pesa alcun sovraccarico e l’effetto è che la varice si riduce nel tempo, fino a scomparire; l’ulcera cutanea, se presente, si chiude, con beneficio su tutta la sintomatologia a carico dell’arto (la pesantezza, il dolore, i crampi, la chiazzatura della pelle, le flebiti superficiali). Usando un’analogia, è come correggere un traffico stradale ingolfato e disordinato, semplicemente aggiustando dei semafori o creando dei sensi unici o sbarramenti.
Il vantaggio principale è quello di lasciare intatto il tronco safenico che può essere utilizzato nello stesso paziente qualora necessiti successivamente di un pontaggio in territorio arterioso (coronario, carotideo o periferico). Inoltre dopo intervento CHIVA la possibile (se pur rara) recidiva non solo si fa prevedibile, in base alla soluzione più idonea adottata in prima battuta, ma è soprattutto riparabile secondo una logica appunto strategica, in armonia coi presupposti; in altre parole è una recidiva “ordinata” e non “caotica” come quella dello stripping.